Storia
santacroce

Dalle origini ad oggi

Lapide romana 

   I Vescovi di Torino, dopo l'invasione dei Longobardi, godettero di una certa indipendenza, in quanto i re e gli imperatori esercitavano sulla città un potere puramente nominale. Però per difendere la città dovettero affidarsi a qualche potente vassallo. 

   Fu così che il Vescovo di Torino, Arduino di Valperga, nominò Federico Piossasco, primo signore di Beinasco attorno all'anno 1200. Federico diede origine al Ramo Piossasco De' Federici. La città di Torino, che frattanto si era costituita in comune libero, si sentiva danneggiata dai mercanti che transitavano per Beinasco senza pagare il pedaggio e venne quindi nella determinazione di farsi cedere da Federico Piossasco il Castello mediante una ricompensa in denaro e l'investitura del Castello, villa e luogo di Beinasco per lui e per i suoi successori.

   L'atto venne stilato il 22 giugno 1239 ed il 16 luglio dello stesso anno, Giovanni figlio di Federico confermò la donazione fatta dal padre. Il Castello venne poi in possesso del conte spagnolo Lovensito, sembra nel 1325. Poi per un lungo periodo non si conoscono più i successori. Solo nel 1584 risulta che Beinasco era dominio feudale dei Signori Erminio Cesare e fratelli De' Federici di Piossasco. Nel 1753 ritroviamo un Carlo, figlio di Giuseppe Antonio, sempre nel Ramo De' Federici, che riceve l'investitura di Beinasco. Nel corso dei secoli il Castello subì incendi, devastazioni e rimaneggiamenti.

   Il Castello fu di architettura guelfa. Della costruzione originale conserva ancora alcune bifore che guardano verso il Sangone. I ruderi che si affacciano sul viale rappresentano la porta d'ingresso, anticamente cinta da fossato e ponte levatoio.

Castello Gonin

Disegno di Gonin

   Le origini di Beinasco sono molto remote. La presenza di lapidi romane, rinvenute nel 1945, attestano l'antichità di questo paese (Benàcun), che era compreso fra i confini della colonia romana, denominata Julia Taurinorum dall'imperatore Giulio Cesare. Gli antichi Romani, popolo pratico, avevano fissato, a mezzogiorno, i confini della città lungo il torrente Sangone, traendone quindi un'ottima difesa naturale. Nei secoli successivi, Beinasco, seguì le sorti di Torino; però le prime notizie precise si hanno verso la prima metà del sec. XIII.

   In seguito a contese per i confini fra Torino e Beinasco, il vescovo di Torino, Ugo Cagnola, stabilì nel 1236 la delimitazione dei territori, divisione che fu confermata con atto pubblico del 17 aprile 1288. Beinasco fu feudo dei Signori di Piossasco ed è probabile che ne facesse parte fin dai tempi di Merlo, cioè verso il 1100 circa. Fra le notizie documentate si apprende che nel 1239 Federico di Piossasco diede, in segno di devozione, il castello di Beinasco alla città di Torino, allora governata dal capitano imperiale Gionata di Lecco.

   In quel periodo le città di Torino, Alessandria e Vercelli avevano formato una alleanza detta "Seconda Lega Lombarda" ed anche Federico di Piossasco si unì nella lotta contro l'imperatore. Beinasco appartenne in seguito e in parte ai Bergiera; quindi passò ai Leoni di Saluzzo. Fu pure alle dipendenze della signoria dei marchesi di Monferrato, di cui se ne fa menzione nel diploma di Carlo IV del 1355. Beinasco fu più volte teatro di combattimenti e scorrerie di soldati. Già dall'epoca di Carlo Magno, i Franchi dilagarono dalla Valle di Susa, mettendo a sacco villaggi e paesi; più tardi le distruzioni si susseguirono con la calata dell'imperatore Federico Barbarossa in Italia.

   Il fatto poi che Beinasco in quel tempo fosse probabilmente guelfo, (vedi l'architettura guelfa del castello), e quindi parteggiasse per i papi, espose il comune alle rappresaglie degli imperatori. La calamità peggiore, Beinasco la sofferse nel 1630, anno in cui infierì la peste ed il saccheggio dei Francesi. La chiesa parrocchiale venne devastata dall'incendio ed il paese ne uscì letteralmente distrutto e andò persa tutta la documentazione storica presente nell'archivio parrocchiale. Nel 1664 il paese è ridotto ad un cumulo di macerie e soltanto sei case risultano abitate. Forzatamente ripopolato per ordine del duca Carlo Emanuele II, mentre Beinasco andava risorgendo lentamente, si profilò un'altra sventura(vedi ricerche storiche di D.Colombo). Nel 1690 l'esercito di Catinat si stabilì a Rivalta e prese a spadroneggiare nei paesi circonvicini.

   Durante la famosa battaglia della Marsaglia, villaggio a ponente di Piossasco, avvenuta il 4 ottobre 1693 con la sconfitta di Vittorio Amedeo II, anche Beinasco subì incendi e distruzioni. Non fù sufficiente la raggiunta pace nel 1696 a tranquillizzare la situazione in Piemonte, perchè altre distruzioni sopraggiunsero durante la nuova guerra di successione spagnola (1701-1713)nella quale si trovarono ancora coinvolti i Savoia. Ormai quasi completamente distrutto si ridusse ad un semplice borgo agricolo (vedi ricerche storiche di D.Colombo). La sua funzione difensiva era decaduta e si poteva ora pensare alla difficile ricostruzione. Si pensò allora di costruire finalmente un ponte stabile sul torrente Sangone che collegasse agevolmente la strada per Orbassano, e nel 1768 partirono le prime richieste alla Grancancelleria, ma per la costruzione di un ponte in muratura si dovette aspettare fino al 1839.

   Un decreto di Carlo Alberto dava inizio ai lavori di costruzione della nuova strada Torino-Piossasco comprendendo anche la costruzione del ponte. Per motivi difensivi e di sicurezza in passato, sul torrente Sangone, non era mai stato costruito un ponte permanente ma l'attraversamento avveniva tramite un barcone previo pagamento della traversata, che rendeva un discreto guadagno ai feudatari del luogo. Il pagamento avveniva in natura: "da ogni capo di casa tenente buoi l'annua prestazione di uno staio di segala, e dagli altri non tenenti buoi un'emina pure di segala". Con la nascita delle Fornaci per la costrizione di mattoni Beinasco comincia a perdere lentamente la sua caratteristica di borgo agricolo incrementando la popolazione che era andata invece diminuendo nel 1800.

   Con la costruzione degli stabilimenti della Fiat Lingotto a Torino e il loro sviluppo negli anni 1930-1940, parte della popolazione abbandona il lavoro di fornaciaio e va a lavorare alla Fiat. Subisce varie incursioni aeree durante l'ultima guerra (1940-1945), ma fortunatamente scampa alle uccisioni subite dai cittadini di paesi vicini da parte dei nazifascisti. Il dopoguerra è segnato dal frenetico sviluppo industriale degli anni 1956-1970 con un incremento di popolazione del 1000 % (da 2.000 a circa 20.000 unità) e al suo inserimento nell'area metropolitana della città di Torino.

Beinasco stemma

   Con un editto emanato nel dicembre del 1613 per prevenire abusi sull'utilizzo dello stemma gentilizio, Carlo Emanuele I di Savoia imponeva le norme a cui si dovevano attenere i detentori o chi desiderasse farne uso pubblico. Ad ogni casato e comune era imposta la descrizione e il disegno su uno specifico libro. Lo stemma del Comune di Beinasco depositato all'Ufficio Araldico di Torino risulta: " ... di azzurro alla campagna unita al verde, caricata d'un fiume, in fascia al naturale coll'ancora d'oro trabeata d'argento uscente dal fiume ed attraversante sul campo, sormontata da un sole d'oro orizzontale a destra".

   L'interpretazione: "L'azzurro della campagna unita di verde, vorrebbe significare le grandi praterie ricche di fieno e costellate di alte piante (pioppi) verdeggianti. Tale campagna è attraversata dal torrente Sangone, come da fascia d'argento; l'ancora d'oro uscente dal fiume accenna alla radiosa speranza che il fiume, colle sue linfe abbondanti e perenni alimenti i pozzi, le fontane, irrighi ed innaffi le sitibonde campagne, campi e praterie, sulle quali, il sole, che sorge raggiante ed orizzontale, verrà dall'oriente a far biondeggiare le messi dei preziosi frumenti".

San Giacomo

 Foto di Giancarlo Rimondotto

   Nella relazione fatta dal Vescovo di Lodi il 15 settembre 1538 dopo la sua visita pastorale alla chiesa parrocchiale viene detto: "Malamente costruita ed indecente in modo da rassomigliare piuttosto ad una stalla che ad una chiesa e per di più minaccia rovina", ordinando la costruzione di un nuovo edificio più solido e confacente alla sua funzione. La nuova chiesa edificata subì la distruzione da parte delle soldataglie francesi nel 1630 e si dovette procedere alla ricostruzione di un nuovo edificio su disegno del Planceri. Eretta velocemte e con materiale scadente a causa delle difficoltà economiche del tempo venne demolita nel 1740 sotto la minaccia di imminente crollo. La nuova costruzione, l'attuale chiesa Parrocchiale, fu progettata ed eretta dall'architetto G.Pronotto, allievo del Juvarra.

  Alla fine del 1743 a termine lavori veniva inaugurata. È disposta a pianta  croce greca  con ampio  presbiterio  ed apside semicircolare. Dispone di tre altari: al centro l'altare maggiore di pregevole fattura, sormontato da un grande crocifisso e due altari laterali di cui uno dedicato al Sacro Cuore e l'altro all'Immacolata Concezione. Gli stucchi eseguiti da un certo Solaro sono del 1749 ma l'attuale decorazione rivista nel 1931 è dell'architetto Pietro Betta. Le pitture sono opera di Oliviero Fonti. Alla destra dell'alter maggiore troviamo il pulpito in legno con pregevoli sculture (1730). In fondo sulla sinistra si trova il Battistero e sulla destra l'altare della Consolata, dove fino al 1931 era sistemata la scala di accesso all'organo.

   L'organo fu tolto definitivamente su indicazione del Betta che lo riteneva antiestetico con l'architettura della chiesa. La facciata in mattoni a vista è in barocco piemontese ed il campanile misura 24 metri di altezza. Una antica lapide funeraria romana è sistemata nell'atrio d'ingresso alla casa Parrocchiale. Fino a poco tempo fa era incastrata nel muro esterno della canonica verso il giardino parrocchiale ed era stata rinvenuta nel 1945. Sulla lapide è incisa l'iscrizione latina:"Tertullae Matri" seguita da tre monogrammi F.T.I., che probabilmente vogliono dire: "Testamento fieri iussit", ossia: "lascio per testamento". La scritta è incorniciata da due figure di animali che sembrano leoni e da due alberi, forse cipressi.

 

Santa Croce

Foto di Giancarlo Rimondotto

   La Compagnia di Santa Croce esiste già dal 1584 anche se non dispone ancora di una casa e di una chiesa. Di istituzione laico-religiosa, il pricipio che lega gli aderenti è la carità cristiana e il mutuo soccorso. Si aggrega nel 1713 a quella di Roma e ha il primo regolamento approvato dal Vicario generale capitolare nel 1717. La documentazione dell'avvenimento è presente nell'archivio parrochiale. Siamo intorno al 1759, la compagnia dispone ora di una casa propria ( ex caserma dei Carabinieri ora locali decentrati del comune in c.so Cavuor 1) e decide allora di lasciare parte dei suoi locali per l'apertura di una scuola allestendola di tutto il necessario. Però nel 1749, la chiesa edificata appena un'ottantina di anni prima, minaccia di crollare.

   Per la costruzione del nuovo edificio viene incaricato l'architetto Bernardo Vittone,uno dei migliori allievi del Juvarra. La costruzione in matttoni a vista procede velocemente al punto che dopo soli sette mesi è terminata (dal maggio al novembre 1750). La facciata è in stile barocco e il campanile a forma quadrata sarà innalzato l'anno dopo. L'esecuzione dei lavori non fu portata avanti al meglio forse anche per la scarsità di risorse e già 15 anni dopo vi sono infiltrazioni di acqua piovana.

   Più restauri e rinforzi vengono eseguiti nel tempo. Nel 1853 l'esterno viene abbellito anche con stucchi e intonaco, altro restauro avviene nel 1912. Nel 1802 la confraternita cede la casa e la chiesa al comune, che si impegna al restauro e a mantenere vive la funzioni religiose. La casa è stata in seguito affittata all'Arma dei Carabinieri che apre un Stazione. Demolita negli anni '70, viene innalzata una nuova costruzione adibita ad uffici comunali. Anche la chiesa non più utilizzata per le funzioni religiose, negli anni 70, viene sconsacrata. Dopo varie vicissitudini viene ricuperata e restaurata su progetto dell'architetto Domenico Bagliani.

   L'inaugurazione avviene il 20 maggio del 2000 con l'intervento del ministro della Repubblica Livia Turco. Oggi è utilizzata come sede delle riunioni del Consiglio Comunale e di manifestazioni importanti. Com'era la Chiesa di Santa Croce. Com'è già stato detto la facciata è in stile barocco, l'interno disegnato ad una navata ottagonale, la volta a sei lunette, presbiterio e coro rettangolari. Alcuni scalini portavano alla predella in marmo rosso sulla quale poggiava l'altare. Sopra l'altare spiccava un grande quadro dipinto su cui era rappresentato il Calvario. La balaustra era in legno e proveniva dalla chiesa di San Giacomo Maggiore. Era stata collocata lì dopo la sostituzione con una nuova in marmo nella chiesa parrocchiale.

   Nel presbiterio era collocata una bella statua scolpita in legno di Cristo legato ad una colonna. La statua veniva portata in processione per le vie del paese ogni Giovedì Santo. Erano anche custoditi gli strumenti della Passione anch'essi utilizzati nella stessa processione. L'organo era collocato su un balcone sopra la porta d'ingresso. Le ultime decorazioni interne risalivano al 1849 ricuperate con gli attuali restauri.

 

Borgaretto

Foto di Giancarlo Rimondotto -  Borgaretto piazza Kennedy     

   I due  abitati di  Beinasco e Borgaretto, pur posti a breve distanza fra loro, hanno avuto  per molti  secoli  vicende  storiche indipendenti. Vi sono diverse ipotesi sull'origine di Borgaretto. Una prima ipotesi collega il nome "Burgaretum" con quello delle milizie bulgare dei Sarmati, vinti dall'imperatore Costanzo nel 358 d.C. e accolti entro i confini dell'Impero. Le milizie Sarmate si insediarono anche nella regione di Augusta Taurinorum nei pressi del Sangone. Secondo un'altra ipotesi Borgaretto potrebbe essere stata fondata da monaci benedettini fuggiti dall'abbazia di Novalesa nel 929, insieme a molta gente della valle di Susa, per ripararsi dalle continue incursioni dei saraceni. Il marchese Adalberto, conte di Torino, donò loro tutte le terre da una parte e dall'altra del Sangone, da Rivalta fino a Moncalieri, col Castello e la villa di Gonzole. Secondo una terza ipotesi le origini di Borgaretto risalgono agli anni intorno al Mille. In questa epoca è attestata infatti una curtis (abitato rurale) di nome Villanova, posta al di là del Sangone di fronte al Drosso, prima soggetta ai signori di Piossasco e Castagnole e poi ai signori di Borgaro e Altessano.

   Nel 1251 viene in parte acquistata dall'abbazia di Staffarda ed è a questo punto composta di edifici rustici, depositi agrari e di un castello. Il nome Villanova cade in disuso e, a partire dal 1339, viene sostituito nei documenti da quello di Burgaratus, cioè piccola dipendenza della signoria di Borgaro. Dall'abbazia di Staffarda la proprietà di Borgaretto e del Drosso passa ai Vagnoni, signori di Trofarello e verso il 1339 alla città di Torino. Il territorio di Borgaretto passa così ad appartenere amministrativamente e fiscalmente al comune di Torino. Dal punto di vista ecclesiastico gli abitanti di Borgaretto vengono successivamente aggregati alla parrocchia di Beinasco, come risulta dalla relazione del vescovo di Torino mons. Broglia sulla sua visita pastorale del 1595 in questa parrocchia. A quest'epoca non esisteva ancora a Borgaretto una chiesa e gli abitanti, per assistere alle funzioni, dovevano andare alla parrocchia di Stupinigi. Nel 1622 il duca Carlo Emanuele I di Savoia assegna gli insediamenti del Drosso e di Borgaretto, assieme a quelli di Grugliasco e Lucento, al comune di Torino, a cui vende il diritto di macinazione, consistente in "21 grossi per cadun sacco di grano".

   La doppia appartenenza, parrocchiale e amministrativa, è documentata per i secoli XVII e XVIII e si protrae fino all'epoca napoleonica, quando il territorio di Borgaretto viene incluso anche amministrativamente nel comune di Beinasco. Il catasto napoleonico del 1808 include infatti nella "section B" del comune di Beinasco i terreni di Borgaretto.

Una leggenda di Borgaretto

   Fra via Carso e via Stupinigi si trova la cascina "La Tour". Di fronte alla cascina si trova un albero centenario, un tiglio argentato, a lato del quale esisteva una colonnina ex-voto, poi distrutta dopo la guerra. La colonnina appare già in una mappa dell'inizio del secolo scorso, e si dice che il tiglio sia stato piantato in occasione della visita di Napoleone a Stupinigi ai primi dell'800. Secondo un'altra versione invece sarebbe stato piantato in seguito a lato della colonnina ex-voto. La tradizione vuole che, in quel luogo, una bimba assalita dai lupi sia riuscita a salvarsi per grazia della Madonna. Forse, molto più semplicemente, la nascita del vecchio albero si accompagna alla costruzione della cascina, che risale al 1846, come ricorda la scritta sul portone d'ingresso. 

Sant'Anna a Borgaretto

Foto di Giancarlo Rimondotto

   Nell'ottobre del 1595 il Vescovo di Torino Carlo Broglia, in visita pastorale a Beinasco, visitò l'abitato di Borgaretto e constatò che, non essendovi edifici di culto, gli abitanti dovevano recarsi a Stupinigi o altrove per la Messa. Il Vescovo decise allora di aggregare la comunità di Borgaretto alla parrocchia di Beinasco, lasciando al parroco di Beinasco la responsabilità delle anime di Borgaretto. Dal punto di vista amministrativo a quell'epoca Borgaretto era sotto il controllo diretto del Comune di Torino Le prime notizie scritte dell'esistenza di una cappella a Borgaretto risalgono al 1728. Il 15 aprile di quell'anno, infatti, Francesco Arboreo Gattinara in visita pastorale descrive la cappella di Borgaretto, dedicata a Sant'Anna. Una descrizione più dettagliata è contenuta nella relazione stesa dal prevosto di Vinovo, incaricato dal Cardinale Battista Roero, che visita la cappella il 20 ottobre 1751. La cappella viene descritta così: "ha forma quadrata-oblunga (rettangolare), sotto il titolo delle Sante Anna e Brigitta, come appaiono le immagini del dipinto.

   L'altare è in mattoni pieni con tabernacolo e baldacchino per la festa di Sant'Anna. Con volta rotonda, imbiancata e con due finestre, una ad oriente, l'altra ad occidente. L'altra parte della cappella ha una finestra rotonda sopra la porta senza cancello. Le finestre hanno le inferiate. Si vedono due armadi...E' custodita dal reverendo Giuseppe Ferrario come cappellano che celebra, per la gente del paese, ogni festa di precetto...C'è una campana del peso di circa 50 libbre.

   Ogni cosa è in uno stato abbastanza decoroso." Il 21 maggio 1771 il Conte di Bagnolo con il suo testamento istituì a Sant'Anna la cappellania: il cappellano "è tenuto ivi a risiedere, celebrare la Messa nei giorni di festa, impartire i primi rudimenti della fede e assistere spiritualmente gli abitanti..." Una nuova descrizione di S. Anna è contenuta nella relazione della visita pastorale a Stupinigi del 1776. In tale occasione l'Arcivescovo prospettò di aggregare la giurisdizione della cappellania di Borgaretto alla parrocchia di Stupinigi, ma la decisione non venne poi adottata.

   Nel 1873 S. Anna fu elevata a rettoria da monsignor Gastaldi. Nel 1891 la chiesa di Sant'Anna fu ricostruita completamente nella sua forma attuale e ribenedetta; la popolazione di Borgaretto era all'epoca di circa seicento abitanti. Nel 1940, infine, la rettoria di S. Anna fu elevata a parrocchia indipendente. Tra il 1997 e il 1999 la chiesa di Sant'Anna fu sottoposta a lavori di ristrutturazione e, il 7 marzo 1999 il Cardinale Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, consacrò il nuovo altare.

Trenino per la Val Sangone

   Nel 1879 tutto il circondario di Torino era solcato da ferrovie a scartamento ordinario e ridotto o da tranvie. Solamente la Val Sangone e quella superiore della Chisola mancava di ogni mezzo celere di comunicazione. Tale servizio era svolto da quattro Omnibus con la capienza di venti e più viaggiatori. Uno di questi Omnibus faceva il doppio servizio giornaliero per la posta da Torino ad Orbassano e Piossasco. Il 28 settembre 1879 il Consiglio Comunale di Orbassano, sentita la relazione del dr. Quenda circa la proposta di una travia a vapore da Torino ad Orbassano, l'approvò all'unanimità.

   Come tutti i progetti, anche questo subì modifiche e trasformazioni. Riuniti tutti i sindaci dei paesi interessati, si abbandonò lo scartamento ordinario per quello ridotto. Il percorso fu prolungato da una parte fino a Pinerolo e dall'altra fino a Giaveno. Il 9 settembre 1880 il re Umberto I dava la concessione per il tratto Torino-Orbassano. Al compimento delle successive tratte: Orbassano Giaveno - Piossasco-Cumiana - Bivio di Cumiana-Pinerolo, la ferrovia fu inaugurata nel 1881 e rimase sotto la direzione dell'ing. Corti, progettista e costruttore, sino al 27 luglio 1889. Dal 27 luglio 1889 al 7 maggio 1900 fu gestita dalla "Società Anonima Tramway a vapore della Provincia di Torino". Successivamente passò alle dipendenze della società belga "Società Torinese Tramway e ferrovie economiche", diretta dal Signor Lauchard. Sotto tale ragione sociale rimase sino al 1° gennaio 1928. Si decise l'elettrificazione con inizio dei lavori nel 1927 e l'inaugurazione della prima corsa con il tram elettrico avvenne alla fine del 1928.

   La ferrovia venne allora gestita dalla Società E.T.O.S., sino al 1° gennaio 1936; poi passò alle dipendenze della S.A.T.T.O (Società Azionaria Tranvie Torino Ovest) sino al 1° gennaio 1937. Questa società, dopo tale data, divenne S.A.T.T.I. (Soc. per Azioni Tranvie Torinesi Intercomunali) per l'assorbimento di altre linee. Attualmente, dopo la sostituzione del vagone ferroviario con il pulmann, dal 1° gennaio 1964 la gestione si trova alle dirette dipendenze dell'Azienda Traviaria Municipale di Torino. 

 

Fornaci   

Foto della Famiglia Schiappelli

   L'economia piemontese nei primi decenni dopo l'unificazione italiana ha un periodo di vivace espansione, grazie all'allargamento dei commerci. Negli anni successivi al 1880 però cessa di espandersi a causa dell'accentuata crisi in cui cade l'agricoltura, per la concorrenza dei prezzi dei prodotti americani. Lo stato interviene favorendo lo sviluppo dell'industria soprattutto meccanica. In conseguenza si ha un fenomeno di inurbamento della popolazione, con grandioso sviluppo dell'edilizia e dell'industria connessa. Si spiega così il sorgere a Beinasco delle prime fornaci negli anni 1870: quelle "del Bottone" e "del Mago", poste nel territorio di Orbassano al confine con Beinasco.

   Il Consiglio comunale si occupa ripetutamente dei problemi creati dall'afflusso di lavoranti, che gravitano sui servizi offerti dal comune di Beinasco, e dal passaggio di carri pesanti per le strade. Con una delibera del 1885 viene richiesto al comune di Orbassano di contribuire all'ingrandimento del cimitero, e nel 1889 un aumento dei contributi per il mantenimento della scuola. Sempre del 1889 è una richiesta al governo per una stazione dei Carabinieri, per far fronte ai problemi di ordine pubblico causati dall'aumento della popolazione. Beinasco si avvia a perdere le caratteristiche di borgo agricolo per acquisire quelle di una cittadina industriale. Tra il 1900 e il 1925 le fornaci si moltiplicano e si ingrandiscono, occupando aree prima adibite ad attività agricole. Gli addetti sono soprattutto di provenienza esterna, in massima parte toscani e friulani. fornaci

Come si lavorava il mattone

   L'area destinata alla cava di argilla veniva ripulita dal primo strato di terreno, di circa 30 centimetri: l'argilla estratta, caricata a mano su mezzi di trasporto trainati da cavalli e trasportata alle fornaci, veniva scaricata su apposite griglie per filtrare eventuali corpi estranei (pietre, legni, eccetera...). Successivamente veniva impastata con le zappe e pestata a piedi nudi. Al termine si lasciava riposare per ventiquattro ore l'impasto, ben amalgamato, coperto da sacchi umidi.

   Toccava poi ai matunè che, con le loro attrezzature di legno, chi sui banchi, chi inginocchiato a terra, modellavano i mattoni uno alla volta. I manufatti venivano deposti sull'aia per una prima asciugatura, per sole 4-6 ore; in seguito i carriolanti trasportavano i mattoni nel piazzale e li sistemavano sotto le gambette, al riparo dalla pioggia e dal sole. Il mattone, dopo 4-6 giorni di permanenza sotto le gambette, era pronto per la cottura: erano ancora i carriolanti ad occuparsi del trasporto in fornace. Lì, i bertolieri e gli alloggiatori lo sistemavano nel forno. Il carbone, immesso dalle buche sovrastanti il forno, si spargeva sui mattoni che, così, cuocevano a temperature di circa 1000 gradi. Molto diversa, in tutte le sue fasi, era la lavorazione del coppo. L'argilla, dopo essere stata ben impastata, veniva ulteriormente lavorata per formare un impasto ancora più amalgamato che doveva essere lasciato riposare per 10-12 ore. Veniva quindi lavorata sui banchi, creando delle forme rettangolari di circa 25 per 40 centimetri.

   Questa sorta di piastrelle, adagiata sugli stampi, veniva modellata con cura con le mani bagnate. Per la prima asciugatura il coppo rimaneva sugli stampi e, in un secondo momento, per l'essiccatura finale, veniva trasferito sotto le gambette. Il coppo, così come il mattone, era pronto per la cottura dopo 5-6 giorni: per la sua forma fragile veniva posato nella zona centrale del forno, chiamata finestra, riparata dalle alte temperature che avrebbero potuto danneggiarlo o pregiudicarne l'uso.

La meccanizzazione

   Nel terzo decennio del '900 venne introdotta la prima macchina per fare il mattone (la mattoniera). La nuova macchina permetteva di lavorare velocemente un maggiore quantità di argilla, e poco alla volta vennero introdotte altre macchine per meccanizzare tutti gli impianti, come l'impastatrice, la macchina per scavare e caricare l'argilla e infine i mezzi meccanizzati per il trasporto dell'argilla nell'area della fornace. Il mattone fatto a mano però non fu mai trascurato poiché richiesto per lavori specifici. In seguito all'introduzione delle macchine fu inventato il mattone forato, che presentava numerosi vantaggi, perché essiccava più velocemente, permetteva di consumare meno argilla e cuoceva più velocemente permettendo anche di risparmiare carbone

 

carta

BEINASCO NEL 1700

uno sguardo sulla Beinasco di 250 anni fa

Premessa

   1748: Carlo Emanuele III, duca di Savoia e re di Sardegna, alleato di Maria Teresa d'Austria nelle guerre di successione, con la pace di Aquisgrana estende i confini del suo piccolo ducato oltre il Ticino, annettendosi i distretti di Voghera e di Vigevano. 1748, 3 giugno: don Siro Ceruti, priore, prende possesso della "cura di Beinasco". Nella parrocchia di San Giacomo Maggiore, la cui costruzione è stata portata a termine cinque anni prima, il priore non trova che "alcune piccole memorie".

   La cosa sembra meravigliarlo non poco; poichè ha il sospetto che qualcuno abbia trafugato documenti importanti, don Siro ottiene dal superiore ecclesiastico un "rotolo di scomunica contro chi quelli teneva, o sapeva, o occultava". Nello stesso tempo pensa sia cosa utile tenere un "Liber Adnotazionis", una memoria per i posteri, "acciò (che) nelle occorrenze abbino subito in pronto ragioni, e motivi di regolarsi secondo l'antico costume. Mi persuado che i Sig.ri successori me ne avranno a grado".

   Don Siro è un giovane priore quando i superiori lo mandano a Beinasco a prendersi cura delle anime; l'ultima annotazione sul suo Liber ("speso per vestire un povero nominato Paulizia denari...") risale al 17 agosto 1793, 45 anni dall'arrivo in paese. Nell'espletamento del suo ministero è affiancato da un giovane cappellano. Da buon cristiano, in parrocchia ospita di frequente viandanti, studenti, poveri di passaggio. Muore nel 1795, a 75 anni.

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       4.  Natalità e mortalità infantile.

   La Chiesa, fino a tempi relativamente recenti (seconda metà del secolo scorso), fungeva anche da Ufficio di Stato Civile. Registrava, in presenza di testimoni, nascita, matrimoni e decessi. II presente paragrafo, che doveva trattare dello Stato Civile, nasce monco, perché dall'Archivio Parrocchiale mancano i registri dei matrimoni e dei decessi per il periodo considerato 1749-1751); a disposizione il solo "V Liber Baptismatum" (Quinto libro dei Battesimi), un voluminoso registro manoscritto, redatto in latino dai parroci di S. Giacomo Maggiore dal 1737 al 1803; in ordine cronologico vi sono elencati battesimi di Beinasco e dei suoi "cassinaggi". Il censimento del 1751, l'unico ad indicare anche l'età dei censiti, serve da complemento per trattare delle nascite avvenute nella "cura" di Beinasco.

   Occorre aprire una breve parentesi per accennare alle coppie di coniugi che nell'anno appena ricordato sono 201 (82 a Beinasco-centro e 119 nei "cassinaggi"). Il marito, di solito è più vecchio della moglie, ma non è raro il caso inverso: infatti 36 mogli (su 201) hanno qualche anno in più dei rispettivi consorti. Non mancano coppie con notevole differenza di età (in simili circostanze il marito è sempre il più anziano): il caso limite è costituito da un maturo uomo di 59 anni, non benestante, sposo, forse in seconde nozze, ad una giovane di appena 20. Delle 201 mogli, 138 sono al disotto dei 45 anni, considerati questi ultimi come termine dell'età feconda nella donna. (I parti oltre il quarantesimo anno di età sono frequenti.

   Nè mancano testimonianze di maternità in età molto avanzata; nel 1751 Margherita Castagno, 55 anni ha un figlio di appena 7 anni; alla Bellezia Teresa Monasterolo, 48 anni, è mamma di una bambina di pochi mesi). I parti, in mancanza di ospedali, avvengono nelle abitazioni. Ostetriche improvvisate le vicine di casa della partoriente (forse, in casi particolarmente difficili, sarà intervenuto Giuseppe Cordero, medico-chirurgo). Le complicazioni intervenute durante il parto devono essere abbastanza frequenti se, come testimonia il "Liber Baptismatum", a non pochi neonati viene somministrato il Battesimo in "periculo mortis".

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      7.  La malaria.

   Quando pensiamo al "buon tempo antico", ci configuriamo un ambiente in cui la fatica dell'uomo e la generale povertà sono mitigate da una natura integra: acqua e aria pure, vegetazione rigogliosa; un ambiente che non sa di inquinamenti insopportabili, di rumori assordanti, di nevrosi legate alla "civiltà del benessere".

   Le pochissime notizie ricavate dal libro di memorie di don Siro Ceruti cancellano l'idea fantastica di un idilliaco mondo perduto. A poco più di un secolo dalla peste del 1630 che spopola letteralmente Beinasco (il Perrachino, nella premessa alla "Causa della Comunità di Beynasco contro l'Illustrissima Città di Torino", 1664, tra l'altro annota: "Avanti il Contaggio erano in detto luogo cento, e più capi di casa e à causa di tal Contaggio e passaggi di Soldatesche... si è ridotto detto luogo oggidì ad otto capi di casa"), per le nostre contrade imperversa la malaria. In una nota non datata, ma presumibilmente anteriore al 1760, don Siro scrive: "Avendo patito questo luogo un rifluzzo durante tre anni di febri terzane, semplici e doppie, et quartane, e ciò sendosi attribuito al maceramento della canapa... si è racorso alla Camera... Doppo aver mandato sul luogo delegati per prendere le sommarie informationi, da detta Camera escì decretto, inibendo qualunque persona di mettere a macerar canapa nel Sangone... principiando dalle fini di Gunzole sino al di sotto la strada di Pinerolo che passa vicino alla Madona del Sangone".

   Trent'anni più tardi, in una delle sue ultime annotazioni, don Siro ricorda " Poiché il tumulo comune (il cimitero), sito fuori della Chiesa parochiale... e le sepolture in chiesa rendevano un fettore che amorbava cotesto luogo, e principalmente la casa parochiale, di modo che tutti li anni eravamo sogetti a febri terzane doppie... ", ecc. Non la macerazione della canapa, né il "fettore" (dovuto alla decomposizione dei cadaveri) che proviene dalla fossa comune posta a ridosso di San Giacomo Maggiore, ma la sicura presenza di acque stagnanti -- luogo ideale per lo sviluppo dell'anòfele, apportatrice della malaria -- é la causa unica del diffondersi della malattia tra la popolazione.

   Non esiste il benché minimo cenno su quanti tra i Beinaschesi sono colpiti dal suddetto "rifluzzo"; anche se i registri parrocchiali dei decessi non indicano la causa delle morti, si può fondatamente pensare che la malaria faccia non poche vittime tra gli abitanti del luogo.

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       9.  Famiglie originarie di Beinasco - Onomastica.

   Alcune famiglie tuttora residenti a Beinasco (i Ferrero, Castagno, Monasterolo, Brunetto, Bronzino, Moriondo; forse i Vaschetto, Boccardo e Dagna) discendono sicuramente da nuclei familiari presenti sul territorio da almeno una decina di generazioni. Nel 1751 i Ferrero e Monasterolo sono tanto numerosi che diventa legittimo pensare si siano stabiliti in paese da qualche decennio almeno.

   Lo storico Perrachino ricorda che inseguito alle frequenti scorribande delle soldatesche spagnole e francesi e a causa della peste del 1630, Beinasco, per una trentina d'anni, cessa di essere "corpo di Comunità". Nel 1631 non vi vivono che 8 famiglie, una quarantina di persone. Le abitazioni, abbandonate, cadono in rovina. "Resulta esservi solo quattordici case, sei delle quali rese habitabili... e le altre già minaccianti rovina... Tutto il resto di dette case, che saranno in numero 80 e più affatto rovinate, delle quali (non) si vedono che bussoni (cespugli) et sambuchi".

   Nel 1760 il duca Carlo Emanuele II, constatato lo stato di generale abbandono ordina ad alcuni nuclei familiari delle vicine contrade di stabilirsi a Beinasco. Si può fondatamente pensare che tra le famiglie precettate alcune avessero per cognome Ferrero, Moriondo, Castagno, ecc. Nella "ricerca" delle famiglie più antiche di Beinasco ho seguito alcune regole elementari:

1) ho considerato il censimento del 1751, l'unico che riporta l'età, e spesso anche la professione, dei censiti;

2) per una visione più completa, la ricerca si estende all'intero territorio di Beinasco (comprese dunque le frazioni e i numerosi cascinali, come Gonzole, Manta, Tre Tetti, Bellezia, ecc.), poiché le famiglie contadine -- come è facile constatare dai censimenti -- si spostano quasi ogni anno da un podere all'altro e talvolta si stabiliscono nei paesi vicini;

3) nel censimento appaiono non pochi errori di trascrizione dei nomi dei censiti. Si è pensato che le lievi varianti (ad esempio Aghem e Aghemo, Desanfan e Desanfani, Monasterolo e Monesterolo, ecc.) riconducano a cognomi simili.

   Tranne che in pochi casi non è stato possibile stabilire il grado di parentela tra nuclei famigliari che portano lo stesso cognome. (E'anche probabile che famiglie con lo stesso cognome non siano legate da parentela). *** Le famiglie Monasterolo presenti sull'intero territorio nel 1751 sono otto: quattro risiedono ai Tre Tetti, tre a Beinasco-centro ed una alla Bellezia.

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   Il senatore referendario Perracchino, durante la visita effettuata a Beinasco il 16 aprile 1664 per ordine del duca Carlo Emanuele II, trova in tutto il paese appena otto nuclei familiari. "Avanti il Contaggio -- si legge nella premessa alle Allegazioni-- erano in detto luogo cento, e più capi di casa, e à causa di tal Contaggio [...] e passaggi della Soldatesca nelle passate Guerre si è ridotto oggidì ad otto capi di casa, quattro [dei] quali stanno per massari dell'Eccellentissimo Sig. Conte Filippo, signore di detto Luogo, e senza questo appoggio havrebbero abbandonato..." (amare parole, le ultime, che dicono delle impossibili condizioni di vita dei Beinaschesi superstiti).

   Il contagio di cui parla lo sconosciuto autore delle Allegazioni è l'epidemia di peste bubbonica che investe l'Italia settentrionale nella seconda meta del 1630; le soldatesche sono truppe mercenarie francesi e spagnole, calate in Piemonte per dare man forte ai Gonzaga, avversari dei Savoia, durante la campagna militare intrapresa dal duca Carlo Emanuele I per la conquista del Monferrato. Fin dal 1599 in Torino e campagne vicine, secondo il Della Chiesa, autore di una Storia del Piemonte, si riscontrano focolai di peste. Ma nel 1630 il morbo imperversa con inaudita virulenza. Nella sola Torino, allora città di ben modeste dimensioni, in pochi mesi muoiono di peste oltre ottomila persone.

   Dall'archivio parrocchiale beinaschese manca il registro dei decessi relativo al periodo del contagio (la chiesa di San Giacomo Maggiore è più volte saccheggiata e infine incendiata con l'intero archivio dalla soldatesca nel 1631). Tuttavia non è azzardato affermare che la peste provoca moltissime vittime in paese. La medicina del XVII secolo non conosce rimedi contro il morbo che si manifesta con i segni di una grave infezione generale (febbre alta, vomito, delirio e infine sopore comatoso) e con la comparsa di bubboni, dovuti alla tumefazione delle ghiandole linfatiche che suppurando emettono pus pullulante di bacilli.

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   La determinazione dei confini è stata spesso causa di interminabili dispute. A una lite, iniziata nel 1288 e durata per almeno quattro secoli tra "la Città di Torino, & li Signori Conti di Beynasco per la terminazione de' Territorij", fa riferimento il più antico documento custodito nell'archivio parrocchiale: "Allegazioni in fatto, ed in ragione nella causa della Communità di Beynasco contro l'illustrissima Città di Torino, e Signori Lite-Consorti".

   Si tratta di una prolissa dissertazione giuridica, raccolta in un testo di una novantina di pagine, composto a grandi caratteri mobili, non datato, ma presumibilmente dell'inizio del Settecento. L'ignoto autore, esperto di dispute giudiziarie, partendo della "sentenza arbitramentale" del 17 aprile 1288 -- garante tra gli altri il vescovo di Torino, Goffredo -- che determinava i confini tra le due comunità, fa la cronistoria della vertenza beinasco-torinese.

  Si può pensare che in quattro secoli di lite avvengano fatti perlomeno spiacevoli. Il Nostro ne ricorda uno soltanto, ultimo in ordine cronologico, di una certa gravità, che coinvolge alcuni particolari (contadini) beinaschesi, sorpresi a pascolare le loro greggi nella campagna verso Mirafiori. E'l'anno 1604. Gli animali vengono requisiti e i contadini sottoposti a giudizio, incriminati di "illecita congregazione" (associazione per delinquere).

   L'intera comunità di Beinasco avverte il sopruso e protesta vibratamente per "detti processi criminali". Ricorda che da cento e più anni i particolari hanno il "pacifico possesso" della suddetta campagna e portano, a sostegno dei loro diritti, la testimonianza di ventuno persone, abitanti per lo più nella campagna di Mirafiori. La sentenza, emessa il 10 luglio 1607, è tuttavia avversa ai beinaschesi: d'ora in poi non sarà più lecita la pastura in quei prati. Sulla interminabile disputa tra le due comunità sarà opportuno ritornare più avanti.

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Don Paolo Bertolino - La storia di Beinasco - Edizioni SPE Torino - 1960
Pietro Pollino - Guida della Val Sangone - Edizioni Il Piemonte e le sue valli SACAT Torino - 1972
Guido Mongini e Carlotta Oddone - Municipi e Castellanie, Storia di Beinasco dalle origini ad oggi - Edizioni U. Allemandi Torino - 1999
Relazione storica "Chiesa Parrocchiale S.Anna" a cura di Studio Associato Architetti Giovanni Calvini e Annalisa Camino - Borgaretto
Si ringraziano i Signori Gonin, Rimondotto e Schiappelli per il materiale fotografico



Sezione Questionario

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